Turandot Divulgazione

Idea

La vicenda della principessa di gelo ha, infatti, origini molto antiche: se ne parla per la prima volta nella raccolta di fiabe persiane intitolata Le mille e una notte (XII secolo), dove compare con il nome di Datmà. Più tardi, alle soglie del 1300, la ritroviamo nel racconto della principessa mongola Khutulun, abile guerriera, fatto dal viaggiatore e mercante Marco Polo ne Il Milione. Nel 1762 il drammaturgo veneziano Carlo Gozzi scrive una fiaba teatrale ispirandosi alla tradizione della principessa orientale che non accetta di sposare nessuno e presenta al pubblico Turandotte, poi divenuta famosa col nome di Turandot.
Il Maestro Puccini aveva appreso quasi per caso questa storia dal suo caro amico Renato Simoni, mentre i due erano a pranzo insieme a Milano un giorno di fine inverno del 1920.
Puccini, in realtà, non lesse il testo di Gozzi ma la traduzione in versi che il letterato Andrea Maffei aveva dettato della versione tedesca Turandot, Prinzessin von China di Friedrich Schiller. Ne era rimasto molto colpito e il 18 marzo del 1920 in una lettera all’amico Simoni confida di essere rimasto conquistato dal soggetto di Turandot: ne avrebbe composto un’opera, concentrando la sua attenzione sull’evoluzione del personaggio della principessa, di cui Puccini voleva dimostrare il lato umano e sensibile all’amore.
Il Maestro dedicò così tutte le sue energie alla composizione di quella che sarebbe stata la sua ultima opera, avvalendosi della collaborazione dell’amico Simoni e di Giuseppe Adami per la scrittura del libretto, in cui introdusse nuovi personaggi, come ad esempio quello della schiava Liù.
In quattro anni di lavoro durissimo (dal 1920 al 1924), Puccini portò a termine quasi completamente la vicenda del principe tartaro Calaf, innamorato della gelida principessa cinese Turandot e capace di risolvere i tre enigmi che lei proponeva a tutti coloro che desideravano la sua mano, le cui soluzioni erano la Speranza, il Sangue e Turandot. Per riprodurre l’atmosfera esotica del suo ultimo capolavoro, ambientato «A Pekino al tempo delle favole», Puccini si documentò moltissimo: studiò la musica orientale e particolarmente quella cinese, riprendendo alcune melodie persino da un carillon cinese appartenuto all’amico barone Fassini.
Sfortunatamente, il 29 novembre 1924 il Maestro morì a Bruxelles a seguito delle complicanze sopraggiunte dopo un delicato intervento alla gola, riuscendo a completare la composizione della commovente scena del suicidio di Liù, nel terzo e ultimo atto. La sua opera andò in scena il 25 aprile 1926 al Teatro alla Scala di Milano, diretta dal grandissimo Arturo Toscanini, che scelse di assegnare a Franco Alfano il difficile compito di comporre il finale dell’opera, traendo spunto dai complessi appunti lasciati dal Maestro.

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