Turandot Divulgazione

La Prima

Il pubblico più affezionato e impaziente aveva atteso l’apertura del teatro già dal pomeriggio, riparandosi dal vento e dalla pioggia violenta sotto i portici all’ingresso. Nonostante il costoso biglietto (tremila lire un palco, seicento lire una poltrona, quattrocento una poltroncina e cinquanta il biglietto d’ingresso) la sala era gremita già un’ora prima dell’inizio dello spettacolo. «C’era gran folla di personalità: maestri, artisti, scrittori, grandi impresari, direttori, editori, tutto l’olimpo del teatro e della lirica; c’è gran sfoggio di eleganze e molta leggiadria di dame, e una moltitudine di giornalisti e di critici convenuti da tutta Europa. I palchi traboccano di spettatori, la platea è una formidabile sinfonia di sparati bianchi e di scollature, le gallerie sono gremite in modo pauroso».

Grande assente della serata il Capo del Governo Benito Mussolini, che non si presentò per il rifiuto opposto dal direttore Toscanini di eseguire l’inno fascista Giovinezza in apertura di serata ma onorò il ricordo del Maestro Puccini inviando al Teatro un fascio di garofani rossi con un nastro tricolore.

Alle 21 precise la luce in sala venne spenta, dando inizio alla rappresentazione, tanto solenne e maestosa da suscitare di tanto in tanto mormorii di stupore e ammirazione tra gli spettatori. «Il pubblico è avvinto. Ma è palesemente sorpreso di trovarsi dinanzi un Puccini nuovo. Lo stupiscono la grandiosità della struttura, la saldezza della costruzione. […] Il pubblico ascolta con così tesa attenzione da eliminare ogni interruzione […] è scosso dal continuo seguirsi di continue sorprese». La stessa apparizione di Turandot produce una sorta di sbalordimento nel pubblico. Al terzo atto, la musica malinconica e dolorosa che accompagna la morte della dolce schiava Liù - il personaggio creato dal Maestro - colpì tutti i presenti, come se quella tragica scena, l’ultima scritta da Puccini, fosse l’estremo saluto che il Maestro dava alla vita.

In una delle sue ultime chiacchierate, quasi presagendo questo momento, Puccini aveva detto: «Se non riuscirò a terminare l’opera, a questo punto verrà qualcuno alla ribalta e dirà: “L’autore ha musicato fin qui, poi è morto”». Il 25 aprile, quel “qualcuno” fu lo stesso Toscanini che, posando la bacchetta si rivolse con un filo di voce al pubblico silenzioso e attonito dicendo: «Qui finisce l’opera perché a questo punto il Maestro è morto».

Il sipario si chiuse e dopo una breve esitazione nel silenzio qualcuno gridò «Viva Puccini!». Subito iniziò un applauso e tutti si alzarono in piedi, mentre la famiglia del Maestro, commossa, raggiunse il direttore d’orchestra per ringraziarlo con un affettuoso abbraccio . All’indomani della prima rappresentazione, sulle pagine d’importanti quotidiani come Il Corriere della Sera, La Stampa, l’Avanti! comparirono le prime recensioni dei critici che presentarono commenti contrastanti: qualcuno rilevò la difficoltà di descrivere, attraverso la musica, l’animo combattuto tra crudeltà e amore della principessa di gelo; altri evidenziarono una separazione troppo netta tra elementi comici e elementi tragici nella partitura, a scapito di una organicità dell’esecuzione; altri apprezzarono la grande abilità di Puccini nel rendere musicalmente il ritratto della spietata principessa. Altri ancora, invece, furono pienamente favorevoli all’opera ma si crearono comunque due fazioni opposte: quella di coloro che parteggiavano per Turandot e quella di coloro che sostenevano Liù.

Lo spettacolo, tuttavia, conquistò pienamente il pubblico italiano e venne qualificato come un convinto successo. Gli applausi, durante la prima serata, furono così lunghi che richiamarono sul palcoscenico gli artisti e il direttore Toscanini complessivamente diciotto volte.

Dalle sere successive l’opera venne messa in scena con il finale composto da Franco Alfano guadagnando, recita dopo recita, l’attenzione e l’ammirazione del pubblico mondiale, tanto che oggi Turandot è una tra le opere più amate e conosciute al mondo.

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