Turandot Divulgazione

Scenografia

L’incontro tra i due era avvenuto casualmente nel 1916: Puccini avrebbe voluto far decorare a Chini un suo villino presso Viareggio, ma il progetto, per ragioni di difficile documentazione, non si realizzò. Tuttavia, da quel momento essi strinsero un’amicizia che si rivelò per entrambi estremamente proficua dal punto di vista professionale e artistico, oltre che umano.
L’anno seguente (1917) infatti, Puccini propose a Chini di occuparsi delle scenografie del Trittico che ottenne un buonissimo successo. Ma nel 1924 il Maestro affidò all’artista l’incarico che gli permise di realizzare il progetto scenografico più impegnativo che avesse mai pensato per il teatro: la messinscena di Turandot.
«Penso per le scene. […] Ora ho visto Chini, quello della scena di Schicchi, che ha abitato quattro anni al Siam e in China. Lui sarebbe felice di ‘bozzettarmi’ le scene. Prima di dirgli di sì, aspetto che tu o Renzo mi diciate il compenso. Io ritengo che con Chini e Brunelleschi si potrà avere una mise en scène artistica e soprattutto inconsueta e originale». L’ambientazione orientale dell’opera pucciniana richiedeva un’accurata conoscenza della cultura esotica, che Chini possedeva grazie alla sua lunga permanenza a Bangkok, allora Siam (oggi Thailandia), dove aveva decorato il Palazzo del trono su invito di Re Rama V. Da quei luoghi lontani, oltre ad una preziosa collezione di oggetti e strumenti musicali siamesi e cinesi, riportò con sé in Italia il carattere e le atmosfere dell'Est, che appariranno in molte sue opere pittoriche fino agli anni ’40.
Per Turandot Chini realizzò quattro versioni differenti del progetto, organizzate in diciotto tavole. Svolse il lavoro confrontandosi frequentemente con il Maestro, che al pianoforte gli faceva ascoltare le melodie della sua nuova opera. I disegni definitivi, consegnati a Casa Ricordi nell’autunno del 1924 dopo sette mesi di lavoro, testimoniano tutta l’abilità decorativa e pittorica di Chini sia nell’uso dei colori - dagli ori più brillanti ai blu più profondi e cupi, sia nella capacità di creare l’immagine di un Oriente lontano, tra sogno e realtà. L’esperienza in Oriente rivive anche nelle decorazioni accurate della vegetazione e nelle architetture che riempiono le scene.
Contrariamente a Puccini, che si dichiarò molto soddisfatto del lavoro svolto dal brillante collaboratore, il pubblico dei critici ravvisò nella prima rappresentazione del 1926 alla Scala di Milano uno sfarzo ed una sovrabbondanza eccessivi, forse dovuti alla fedele riproduzione delle ricche descrizioni scritte da Adami e Simoni, che si riportano di seguito:

Atto I
Le mura della Città Imperiale chiudono quasi tutta la scena in semicerchio. Sugli spalti sono infissi i pali che reggono i teschi dei giustiziati. A sinistra e nel fondo, s’aprono nelle mura tre gigantesche porte. Siamo nell’ora più sfolgorante del tramonto. Il piazzale è pieno di una pittoresca folla cinese.

Atto II - Quadro I
Appare una vasta tenda, tutta decorata da simboliche figure cinesi. La scena ha tre aperture: una centrale e due laterali. Ping fa capolino dal centro e rivolgendosi a destra e a sinistra chiama i compagni.

Atto II - Quadro II
Appare il vasto piazzale della Reggia. Quasi al centro è un’enorme scalèa di marmo che si perde nella sommità fra gli archi traforati delle vaste terrazze imperiali. – La scala è a tre vasti ripiani. Numerosi servi collocano in ogni dove lanterne variopinte. La folla, a poco a poco, invade la piazza. – Arrivano i mandarini, con la veste di cerimonia azzurra e d’oro. Passano gli otto sapienti, altissimi e pomposi. Sono vecchi, quasi uguali, enormi e massicci. Il loro gesto è lentissimo e simultaneo. Hanno ciascuno tre rotoli di seta sigillati in mano. Sono i rotoli che contengono la soluzione degli enigmi di Turandot.
Incensi cominciano a salire dai tripodi che sono sulla sommità della scala. – Le tre maschere si fanno largo tra gli incensi; indossa- no, ora, l’abito giallo di cerimonia. Passano gli stendardi bianchi e gialli dell’imperatore tra le nuvole degli aromi. – Passano gli stendardi di guerra. – Lentamente l’incenso dirada. – Sulla sommità della scala, seduto sul trono d’avorio, apparisce l’imperatore Altoum. È tutto bianco, antico, venera- bile, ieratico. Pare un dio che apparisca di tra le nuvole. Tutta la folla si prosterna faccia a terra, in attitudine di grande rispetto. Il piazzale è avvolto in una viva luce rossa. Il principe è ai piedi della scala. Timur e Liù a sinistra, confusi tra la folla ma bene in vista del pubblico.

Atto III - Quadro I
Il giardino della Reggia, vastissimo, tutto rial- zi ondulati, profili scuri di divinità. A destra un padiglione cui si accede per cinque gradini. È notte. Adagiato sui gradini del padiglione è il principe.

Atto III - Quadro II
Appare l’esterno pittoresco del palazzo imperiale. Sopra un’alta scalèa, al centro della scena, l’imperatore circondato dalla corte, dai dignitari, dai sapienti, dai soldati. Ai due lati del piazzale, in vasto semicerchio, l’enorme folla.

Anche se il pubblico meno esperto apprezzò moltissimo i colori e la sontuosità dello spettacolo, Chini fu chiamato a lavorare per scenografie teatrali solo nel 1930, dedicandosi per 4 anni quasi solamente alla pittura su cavalletto.

Stampa questa pagina